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I campi estivi al San Marco

di ISSM

Campo Estivo ad Auronzo

Alle 8 in punto dell’ultima domenica di giugno accoglievamo in palestra genitori e figli di trentadue famiglie della nostra scuola. Solo dieci minuti dopo, avevamo tutti un cotton fioc nel naso perché il nostro SSS (Salesiano Sanitario Spinazzè), che sembrava cercare un’alternativa da medico alla sua vita religiosa, potesse verificare che tutte le nostre narici fossero pronte e pulite per la partenza!

Saliti in pullman carichi di entusiasmo, ci siamo lasciati la piatta pianura alla spalle diretti verso le cascate di Fanes, per raggiungere le quali ci è voluta una piccola passeggiata dove testare le nostre capacità di camminatori. Per il gruppo successivo è stata anche un’occasione per testare l’equipaggiamento, visto che sono finiti sotto una mega grandinata!

Camminando in fila indiana abbiamo raggiunto una splendida cascata che i più coraggiosi hanno potuto attraversare: come sempre accade, dopo la fatica il premio sta nel raggiungere la meta. A questo punto avevamo già preso le misure sulle abilità della squadra e, al grido di “forza ragazzi, i lenti davanti e i veloci dietro!”, ci siamo avviati per il sentiero lungo il quale i più lenti venivano immancabilmente superati dai più veloci, ma nel rispetto di tutti non vogliamo fare nomi: giusto, R.Z. di 2G*?

Abbiamo avuto quattro splendidi e intensi giorni da sfruttare. Ogni cosa era stata organizzata per funzionare al meglio, ma tutte le volte che è stato necessario i programmi sono stati smontati e risistemati per seguire il sentire del gruppo.

Ci siamo divertiti per davvero, tanto che se all’inizio il ritiro del cellulare ci era sembrata una punizione alla fine vivere senza era diventato persino bello.

Il gruppo composto dai ragazzi delle classi del biennio si è presto amalgamato, pur mantenendo una sana vena competitiva nata dalla formazione di cinque squadre, ciascuna di esse capitanata da un prof.

Lo stanzone in cui passavamo le serate è stato palcoscenico di prove d’intelligenza con quiz logico-spaziali, di sfide di forza estrema con balli scatenati, di prove di cultura generale su titoli di canzoni che conosceva solo Federico Z.! In quell’occasione don Michele deve aver rischiato una costola, visto che era stato trasformato nel nostro pulsante umano! Vi assicuriamo che questo è solo uno dei tanti momenti in cui ognuno di noi si è messo in gioco fino alla fine e alcuni portano ancora i segni delle cicatrici del gioco “Alce Rossa” nel bosco o della costruzione di una diga impossibile sul torrente ghiacciato.

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Ci siamo messi in gioco ogni giorno, anche quando ci abbiamo impiegato ore e ore per raggiungere le trincee del Monte Piana, dove abbiamo goduto dello spettacolare panorama delle tre Cime di Lavaredo.

Ci siamo aiutati fra di noi perché tutti arrivassero alla cima: chi ha camminato con due zaini, chi ha incoraggiato gli amici col fiato corto, chi ha invitato il compagno ad aggrapparsi a lui per ridurre la fatica, chi… ha semplicemente aspettato gli altri.

Come accade sempre, anche nella vita di tutti i giorni, la fatica condivisa avvicina le persone e così i momenti di scambio e di riflessione sono diventati opportunità per conoscerci di più, sia reciprocamente sia individualmente, e per apprezzare ciò che ognuno di noi vive nel proprio cuore. Cuore che, con questa esperienza, è tornato a casa più gonfio di felicità e di gratitudine!

Campo Estivo in tenda

“SE VUOI ANDARE VELOCE, VAI DA SOLO. SE VUOI ANDARE LONTANO, VAI INSIEME”: così recitava lo slogan del volantino che presentava il tema del campo estivo ad Auronzo, dal 6 al 9 luglio, per le classi terze CFP. Il tema del campo è stato, infatti, il fare squadra di fronte alle difficoltà, ai propri limiti, alle paure e alle aspirazioni per poi compiere scelte significative e assumersi le proprie responsabilità. Infatti ogni giornata è stata contraddistinta dalla semplicità e dallo spirito di famiglia che a don Bosco era tanto caro e che ci ha portato a vivere e apprezzare, con uno stile molto essenziale, le piccole cose.

Sin dal tragitto d’andata, si respirava un clima piacevole e di sintonia tra noi ragazzi, anche se provenivamo da sezioni differenti. Da qui sono nati i primi legami: ridendo e cantando a squarciagola.

Il primo passo, appena arrivati al rifugio Palafavera, è stato posizionare le tende dove avremmo dormito per tre notti, e subito ci hanno messi alla prova. “Tirate bene le tende! Perché in questi giorni saranno come la vostra casa, ognuno dev’essere responsabile della propria”, ci aveva detto il professor Tiengo. Solo ora possiamo assicurarvi che aveva ben previsto…

Tra le attività svolte in quei giorni, il primato indiscusso è andato all’escursione fatta il secondo giorno: il rifugio del Coldai, la tappa più ardua che prevedeva una lunga camminata che sarebbe durata tutto il giorno; ma l’arrivo avrebbe ripagato tutto lo sforzo fatto quand’anche le gambe non ce la facevano più per arrivare fin lassù. Non a caso, una volta arrivati ci aspettava la bellissima vista del lago Coldai dall’acqua color verde ghiaccio che abbiamo mangiato con gli occhi ed è stata anche la nostra tappa per il pranzo. Successivamente solo alcuni di noi si sono addentrati nella scalata del monte dove abbiamo raggiunto addirittura una quota di 2400 metri.

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La vista di questo paesaggio mozzafiato ci ha lasciato senza parole, ma allo stesso tempo ci ha insegnato che talvolta i limiti che vediamo sono quelli che ci auto creiamo e che sono invece superabili un passo alla volta, con l’aiuto di qualcuno che assieme a noi ci guida per arrivare in cima. Abbiamo provato la sensazione quasi di toccare il cielo con un dito.

La sera un bell’imprevisto: un’acquazzone ci ha colti di sorpresa e tutti eravamo disperati, non sapevamo cosa fare e dove rifugiarci o come muoverci. Si è creato un momento di panico generale, nel quale abbiamo cercato di controllare la situazione mantenendo la calma e tenendo ferma la tenda travolta dal vento. Come se non bastasse, aveva iniziato a penetrare l’acqua dentro la tenda, creando così delle pozzanghere, che poi hanno bagnato gran parte delle nostre cose. Riguardo questa disavventura non possiamo che ringraziare i formatori e i salesiani che ci hanno sempre trasmesso fiducia e sostegno, senza mai abbandonarci, anche se questo ha significato trascorrere la notte insonne per far dormire noi nella loro tenda.

Tirando le somme, il campo scuola è stato quindi per noi una miscela di emozioni e sentimenti, considerazioni che si alternavano giorno dopo giorno, come il sole alla pioggia del cielo di quei giorni. Ma è stato anche divertimento, allegria, buona cucina e intensi momenti di preghiera e riflessione, è stato bello vivere insieme, aiutarci, farci da mangiare, condividere la fatica e l’allegria oltre a instaurare e rafforzare le nostre amicizie, a volte anche esporci con gli altri facendoci superare la nostra timidezza.

Così, dopo quei quattro giorni, ognuno è tornato a casa arricchito di qualcosa in più, perché ognuno durante il campo ha donato qualcosa di suo e ricevuto qualcosa dall’altro, anche qualcosa di semplice ma mai banale. Come qualsiasi esperienza ci ha quindi insegnato e lasciato come messaggio che non bisogna aver paura di chiedere aiuto e che condividere significa crescere assieme.

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Infine, consigliamo a tutti voi lettori questa bellissima esperienza!

Campo Estivo a Napoli

Io e altri ragazzi del triennio ITT abbiamo partecipato, dal 17 al 21 luglio, al campo scuola ambientato a Napoli. Città affascinante, come una fotografia, formata da luci e da ombre. Le testimonianze che abbiamo potuto ascoltare ci hanno fatto capire effettivamente questo aspetto. Ma cosa significa? Significa che Napoli è costituita da persone di cuore e persone crudeli. Tra le figure di cuore, c’è suor Lucia, una donna piccola, ma molto coraggiosa. Nel Rione Sanità, grazie al suo impegno, è riuscita a dare speranza e un futuro a dei ragazzi che non vedevano questa luce. Ha dato un posto dove i giovani potessero divertirsi e studiare creando una comunità. La storia di un’altra figura che ha lottato contro queste ombre ci è stata raccontata da una giornalista, Tina Cioffo. La figura è don Peppe Diana, un sacerdote di Casal di Principe, un paese nella provincia di Caserta, che fu ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994, perché si impegnò a lottare contro la mafia.

Queste due testimonianze mi hanno particolarmente segnata. Mi hanno fatto aprire gli occhi su alcuni fatti che a mio avviso non vengono raccontati sufficientemente, perché coinvolgono anche noi. Ci hanno infatti riferito che la mafia da qualche anno a questa parte sta agendo in particolare modo nel Nord Italia, in una maniera molto astuta. La strategia che utilizzano qui, è far studiare i propri adepti, affinché possano agire al meglio nel campo economico e politico.

A differenza del Meridione, viene invece sottovalutato dai ragazzini, che pur di ottenere capi firmati e qualche moneta in più, mollano la scuola e si dedicano alla malavita. Ed è così che perdono il gioco della vita, perché lo studio è la chiave che ci permette di affrontare queste organizzazioni. Ciò che mi porterò dentro, da queste testimonianze, è l’importanza dello studio, dell’impegno, di una comunità che si aiuta affinché possa superare le difficoltà.

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