“La Festa di don Bosco è il giorno in cui si possono chiedere a Dio le cose impossibili”.
Don Michele ne è profondamente convinto quando saluta gli oltre 700 ragazzi raccolti nella palestra del San Marco, lo scorso martedì 30 gennaio. Anticipata di un giorno, la festa in onore di san Giovanni Bosco è carica di gioia, aspettative ed entusiasmo di chi ha organizzato, chi partecipa, chi canta, chi suona, chi sta dietro le quinte assicurandosi che tutto fili, chi è pronto a salire sul palco e chi sul palco preferisce non salirci, e godersi da giù lo spettacolo.
Desideri impossibili o no, il desiderare è stato – in un certo senso – la chiave di tutta la mattinata.
A partire dalla Santa Messa, presieduta da don Silvio Zanchetta, delegato della Pastorale Giovanile del Movimento Giovanile Salesiano del Triveneto, che racconta che nella Torino dell’800 – una città molto problematica con tanti ragazzi sfruttati e maltrattati – non c’era solo don Bosco a fare del bene, ma anche personaggi come Cottolengo, Cafasso, Murialdo. Insieme a quest’ultimo don Bosco andava a confessarsi alla chiesa della Madonna Consolata e poi andavano al bar a bere il goloso “bicerin”: insomma, uomini semplici e concreti. E di cosa parlavano tra loro? Dei ragazzi poveri che avevano davanti: si suggerivano strategie per fare del bene.
E don Silvio domanda: <Quante volte, quando parlo con degli amici, ho nel cuore il bene di qualcun altro?>. Ciò accade quando incontriamo qualcosa di bello e di vero che ci accende il cuore, come è capitato al nipote di don Silvio che, da quando si è innamorato, dice che il rosso non è più rosso. Intuire quanto è bello e prezioso andare fuori di noi, per desiderare il bene degli altri, è quello che don Silvio augura a noi attraverso l’esempio di don Bosco, che <ha visto nei ragazzi non un ostacolo o un problema, ma qualcuno che aveva bisogno di lui>.
Il desiderio è stato anche il filo conduttore della coinvolgente testimonianza del nostro ospite, Marco Anzovino, scrittore (l’ultimo romanzo edito è “Le ragazze al terzo piano”, edizioni biblioteca dell’immagine), cantautore ed educatore in una comunità di recupero per tossicodipendenti da 13 anni. Il desiderio, per Marco, è il motore delle scelte, delle conquiste, delle rinunce che si fanno.
Raccontando dei suoi ragazzi, dice: <Il mio è un viaggio nella sofferenza di qualcuno che non ha trovato piacere>. Piacere di stare a casa, di stare a scuola, di fare uno sport, di ascoltare musica.
<La tossicodipendenza è un ragazzo che non ha scoperto niente di sé, non sa niente di sé>, continua Marco. È sintomatico quando si chiede a un ragazzo “Cosa ti piace?” E lui risponde “Niente”. Vuol dire che è ancora lontano dallo scoprire qualcosa di sé. E come si fa a scoprire qualcosa di sé? Con gli oggetti? No di certo, semmai con i “soggetti”, le persone.
E quando arriva il piacere? Quando incontri quella cosa che ti fa fare fatica, andare oltre: la passione, da non confondere con l’ambizione. <Quella cosa che ti fa svegliare al mattino e ti fa domandare cosa puoi dare per far sì che il tema di italiano venga meglio o perché alla partita giochi bene…>. Spesso l’impegno si ferma alla prima fatica: <Il pensiero è tutto sul “ricevere” – dice Marco Anzovino – ma alla vostra età dev’essere tutto sul dare!>
La metafora calcistica calza a pennello: Dybala, Del Piero quante volte hanno dovuto lanciare il pallone, quante volte hanno dovuto sbagliare, per riuscire poi ad arrivare. Fallire diventa perciò una cosa bellissima, se la viviamo come “provare finché non ci si riesce”.
Marco racconta tutto ciò non come un maestrino che ha imparato la lezione a memoria, ma come un uomo che, da ragazzo, ha vissuto questa esperienza sulla sua pelle. Conquistare e rinunciare, sono i due verbi chiave di Marco. <Ho capito che se volevo qualcosa nella mia vita dovevo andare a prendermela. Tutto ciò che non vi siete conquistati, non è vostro>. Ma la conquista comporta il saper rinunciare: <Vado a letto presto perché domani ho la partita: rinuncio al sabato sera in discoteca. Magari quel ragazzo si chiama Roberto Baggio, ma anche Giovanni Franchini che gioca in serie C>.
Un altro esempio calzante è quello dello studente che, dopo aver ascoltato la testimonianza di Anzovino, poi gli ha raccontato di avere il desiderio di andare a Londra, e pur non sapendo niente di inglese, aveva la media del 7 perché copiava le verifiche. Poi la svolta: ha capito che Londra se la doveva sudare, e anche se era costato fatica, il 6 della verifica successiva era tutto suo.
<Bisogna mordere il desiderio>: come le bracciate di Federica Pellegrini, quando a quindici secondi dalla fine, mentre i cronisti stanno dicendo che la sua carriera è finita, rimonta dalla quarta posizione e vince la finale dei 200 stile libero agli ultimi Mondiali di nuoto.
Il desiderio ci salva anche dal dolore, con il quale la vita prima o poi ci obbliga a scontrarci.
Lo sa bene Marco che, da ragazzino, è un campione del calcio e viene comprato dal Treviso che, all’epoca, era in serie B. Per lui significa una vita da “grande”: viaggio in treno da solo, collegio, quattro allenamenti più la partita. Ormai è un tutt’uno con il pallone.
Fino a quella partita importante in cui si rompe la spina iliaca: muscolo e osso si strappano e ciò implica una lunga riabilitazione. Nonostante il grave incidente, ritornerà a giocare, ma in due anni e mezzo si “romperà” altre tre volte: la sua carriera nel calcio è finita. E anche lui si sente finito.
Sente di non contare più niente. E in effetti è così anche agli occhi dei suoi coetanei, che prima tanto lo stimavano, e ora lo isolano.
<Cosa faccio? – Continua a raccontare lo scrittore – Mi suicido? Ci ho pensato…>.
Poi la svolta, a partire da una canzone che passa in radio: <È un tornado! Il cantante era sconosciuto, e all’epoca non c’erano Youtube o Internet, quindi dovevo ricordarmi musica e testo per poter andare a comprare il disco>. Si trattava di “Balliamo sul mondo” dell’allora “nessuno” Ligabue.
Quella canzone, che sembra parlare proprio a lui, accende di nuovo il desiderio di Marco, che dice “voglio essere quella canzone, voglio imparare a suonarla”: <Allora rinuncio alla paghetta per la prima chitarra scassata. Con quattro accordi posso intonare la canzone. Re sol do la>.
A ricreazione Anzovino, che non ha nessuno con cui trascorrere il tempo, prova e riprova… finché scopre che può scrivere anche lui testo e accordi e dare vita alle sue canzoni.
Un giorno di aprile la sua insegnante di matematica lo sente e scopre il suo nuovo talento: decide così di fargli chiudere il saggio di fine anno con la sua canzone; ciò provoca in lui tanta paura, ma anche tanta voglia.
La sua canzone è in Fa maggiore, l’accordo più difficile. Il giorno del saggio sale sul palco dopo la più bella della scuola, tutti fischiano. Poi sente la sua voce al microfono: rizza la schiena. E intona “Le strade dei sogni”…
E dopo aver cantanto al giovane pubblico del San Marco le sue parole di quindicenne accompagnate dalla chitarra, Marco Anzovino conclude ricordando che la domanda, prima o poi, arriva: hai dato il massimo per il tuo progetto? La seconda che è necessario porsi è: che cosa voglio essere?
<Io ho scelto di essere onesto, leale, di essere me stesso, di ascoltare quello che ho dentro>, risponde Marco. La platea applaude: il silenzio dell’ascolto ha accompagnato tutta la sua testimonianza.
Nella seconda parte della mattinata, spazio al desiderio dei giovani di essere protagonisti, con le loro passioni, i loro talenti, la loro voglia di mettersi in gioco e divertirsi, attraverso le attività realizzate dalle classi: chi ha realizzato dei giochi che hanno coinvolto studenti e professori, chi ha cantato, chi ha suonato, chi ha realizzato dei video divertenti che raccontano la vita della scuola in modo non convenzionale, il tutto tenuto insieme dalla trama del nostro ormai consueto presentatore, il prof. Lorenzo Tiengo, che ha saputo intrattenere e guidare con simpatia ogni momento della festa, aggiudicandosi anche lui – alla fine – della panna… in faccia!